Dybala, confessioni choc alla moglie prima delle nozze: ecco cosa mi ha ucciso
19 Luglio 2024Il gran giorno è domani, quando Paulo Dybala sposerà la compagna Oriana Sabatini, con cui convive da tempo, a Buenos Aires, in Argentina, paese natale di entrambi. La cerimonia si terrà nella splendida tenuta di Dok Haras. L’organizzazione dell’evento sarà gestita da Claudia Villafane, ex moglie di Maradona. Sabatini vestirà un lussuoso abito Dolce & Gabbana rifinito a Milano, che però potrebbe intervallare con un altro capo realizzato in Argentina. Fra i 250 invitati, che non potranno tenere con sé i cellulari, tanti calciatori dell’Argentina. Presente Leandro Paredes, che dovrebbe fornire il vino con la sua azienda, ma anche Angel Di Maria, Giovanni Lo Celso ed Enzo Fernandez. Non dovrebbe esserci Gaby Sabatini, l’ex tennista zia della sposa. Prima della cerimonia però il campione della Roma si è confessato a cuore aperto in un podcast intervistato proprio dalla sua futura moglie Oriana Sabatini. L’argentino ha toccato numerose tematiche legato al mondo del calcio e si è soffermato anche sulla dolorosa sconfitta rimediata nella finale di Europa League contro il Siviglia.
La moglie di Dybala apre il baule dei ricordi del giocatore L’esperienza di Dybala con il basket I problemi psicologici di Dybala La delusione per il ko con la Roma
La moglie di Dybala apre il baule dei ricordi del giocatore
Grazie alle domande della Sabatini, che da domani sarà sua moglie nello stesso giorno in cui si sposa anche Chiesa, l’argentino si mette a nudo e ricorda gli inizi disastrosi col basket, il sogno di diventare il migliore del mondo pronunciato a soli 10 anni, le difficoltà psicologiche che si possono avere anche dopo successi importanti, le emozioni del Mondiale vinto ai rigori ma anche la delusione tremenda per la sconfitta in finale di Europa League con la Roma.
Parte proprio Oriana, dicendo: “Mi piace averti qui e avere la possibilità di chiederti tutto questo perché sono curiosità che immagino io e molte altre persone abbiamo. La prima cosa che volevo chiederti è: ti ricordi il momento, una partita, un gol, in cui da bambino dicevi, voglio dedicarmi a calcio? “Non c’è un momento in cui ho preso questa decisione. Sono nato con il calcio in casa, abbiamo sempre vissuto il calcio, abbiamo respirato calcio, abbiamo guardato il calcio. Ho due fratelli maggiori che sono cresciuti come me , mio padre è cresciuto come me, mio nonno è cresciuto come me, siamo tutti cresciuti attorno al calcio e tutta la mia famiglia vive attorno al calcio. È vero che c’è una storia molto bella quando ero un bambino”.
L’esperienza di Dybala con il basket
Dybala continua: “Avevo sette anni, otto anni volevo iniziare a giocare a basket e niente, mi iscrissi ad una scuola di basket in un club della mia città, e iniziammo ad allenarci. Non sapevo niente di basket, a casa non guardavamo la pallacanestro, niente, non so perché. E durante la prima partita ho preso la palla col piede quando è arrivata molto bassa, non mi sono chinato per afferrarla con la mano. Allora, finita la partita, l’allenatore mi ha detto: ‘O inizi a sollevarla con la mano o torni a giocare a calcio, perché qui giocano con le mani.’ E allora ho detto no, devo tornare a giocare calcio. Ed è durato, non ti sto mentendo, meno di un mese.
A me piaceva molto il tennis, ma beh il tennis è uno sport un po’ più caro, diciamo che servono strumenti un po’ più cari. Nel calcio ti danno tutto, cioè devi solo mettere i tacchetti, ho capito che il calcio era la mia cosa, “Tutti i miei amici giocavano a calcio. Era il mio mondo. Quando ero molto giovane, non lo dimentico, frequentavo una scuola estiva nella piscina di uno dei club della mia città e facevamo dei falò, restavamo a dormire in tenda. Era un’esperienza molto divertente, ognuno prendeva un pezzo di legno, lo lanciava sul fuoco ed esprimeva un desiderio. “Okay, e io avevo chiesto di essere il miglior calciatore giocatore del mondo. Avevo dieci anni”.
I problemi psicologici di Dybala
Poi una confessione ancora più intima: “In alcuni momenti della mia carriera, in momenti di grande felicità sentivo che non mi stavo divertendo. In altre parole, sentivo come il vuoto. Ad esempio finivo una partita in cui avevo avevo segnato un gol molto importante per la squadra, tutta la squadra festeggiava, c’era tanta felicità nello spogliatoio perché era una conquista per tutti e io ero seduto lì e non sentivo niente. Non ero felice dopo il risultato ed era molto difficile per me capirlo, non sapevo cosa mi stava succedendo e mi è successo 2-3 volte, quando avevo tutto per essere super felice e sono tornato a casa vuoto, molto vuoto, pur sapendo che avevo reso felici migliaia di persone. La prima cosa che ti chiedi è: cosa c’è che non va in me? Voglio dire, come ti ho detto, io festeggiavo fuori dal campo con i tifosi, io e i miei compagni siamo entrati nello spogliatoio e il computer si è spento dal nulla, voglio dire, non c’era niente,
Inevitabile parlare della finale del Mondiale in Qatar: “Quando la Francia segnò il 3-3 mi venne quasi da piangere, mancava davvero poco alla fine della partita. In quelle occasioni se vai ai rigori perdi. Siamo andati sempre in vantaggio, ma la Francia è stata in grado di rimontare”. Cosa si pensa quando si va ai rigori? Dipende da come è andata la partita. In quell’occasione sembrava che tutto stesse andando nel verso sbagliato, tutto ciò era successo per poi farci perdere ai rigori. Sennò la partita sarebbe finita 3-2 per noi e la Francia non avrebbe pareggiato. Io sono entrato in campo dopo il 3-3, quando la partita era ormai terminata, e mi veniva quasi da piangere. Non c’era tempo però né per piangere né per pensare. Le emozioni vengono messe da parte, mi sono solamente concentrato sul rigore”.
La delusione per il ko con la Roma
Oriana chiede come si fa a non sentirsi appagato dopo aver vinto il Mondiale, il trofeo più importante del calcio: “Per un calciatore è il massimo vincere il Mondiale, ma il mio obiettivo è vincere altri trofei, continuare a segnare e a giocare. Il Mondiale è il massimo, ma io voglio anche altre cose. Dopo il Mondiale con l’Argentina, avevo un’altra finale molto importante da giocare con la Roma. L’abbiamo persa (col Siviglia nel match in cui fu criticato pesantemente l’arbitro Taylor ndr) e questa cosa mi ha distrutto emotivamente. Ero completamente a pezzi. Non ce la facevo più, volevo solamente tornare a casa e non uscire più. La sconfitta mi ha colpito molto duramente. Per noi, in quel momento, sarebbe stato qualcosa di storico, come vincere la Coppa del Mondo. Per la gente di Roma sarebbe stato qualcosa di unico in tutta la loro storia. E io ero lì da un anno. E tutti mi chiedevano: ma come hai fatto a sentire questa sconfitta così tanto? Io non lo so. Il tempo passato insieme al gruppo squadra, il vivere la città, il conoscere la gente, lo spogliatoio… Mi ha ucciso il fatto di aver perso quella finale. Così ho risposto alla tua domanda precedente… Non c’è paragone tra la finale del Mondiale e quella di Europa League, ma perdere contro il Siviglia mi ha distrutto.
Nel calcio difficilmente parli delle emozioni. O di quello che ti succede. Sì, credo che se arrivi a un certo livello e ne hai già bisogno perché ad un certo punto a un certo livello non ne può più. Ma è strano che nello spogliatoio si parli di andare da uno psicologo o che tu abbia bisogno di aiuto per la tua parte emotiva, non ti dico che è disapprovato perché sono cambiate le cose negli ultimi anni. Ma è strano. Non se ne parla. Ma è una figura che c’è.
Dopo un passaggio sulle abitudini quotidiane e lo stile di vita (“Durante la mia carriera ho sempre provato a trovare la soluzione per limitare i problemi fisici. Mi piacerebbe non avere mai infortuni, faccio tutto il possibile per evitarli. E’ normale a volte arrabbiarsi o essere frustrati quando accade, ma l’unica cosa che si può fare è andare avanti, recuperare e continuare a lavorare. Non sono uno che si allena, mangia e dorme solamente, seguo costantemente una routine di lavoro e mi prendo cura del mio corpo. A volte ci sono dei fattori che non puoi controllare. Tutto ciò che faccio è ciò che il corpo mi permette di fare. Se non mi prendessi cura del corpo magari avrei 10 infortuni e non solamente uno. Grazie al lavoro che faccio limito i problemi fisici”) e un ricordo sui suoi idoli (“Guardavo Ronaldinho, Riquelme… Messi era diventato il mio giocatore preferito, ora ci gioco insieme in nazionale ed è una sensazione strana averlo al mio fianco. Successe la stessa cosa anche con Cristiano Ronaldo. Da vederli solamente da lontano a giocarci insieme è un qualcosa di folle”) Dybala chiude parlando del futuro: “L’ideale sarebbe iniziare a prepararsi alcuni anni prima della fine della carriera, anche se è difficile dire quando smetterò di giocare. Sarebbe bello sapere già cosa fare, magari avere già un’azienda, un progetto, e soprattutto quando farlo. In caso contrario non saprei, conosco molti ex giocatori che hanno provato migliaia di cose perché non sapevano cosa fare”.